uuh huu scrivere un post in un mezzo ormai obsoleto come un blog. obsoleto come tutto quanto che diviene obsoleto dopo pochi mesi in un epoca che non ricorda nulla, mezzo obsoleto e oceanico, che non è indirizzato a nessuno perché indirizzabile potenzialmente a tutti.
beh, si.
beh, 'fanculo.
che lo scriba umile e pesto qua presente ce l'avrebbe uno a cui parlare e in cui riporre parti del sé, ma piccolo problema non è chi lui (lo scriba) aveva e avrebbe voluto continuare a avere a che fare.
allora torna all'obsoleto, anche nella forma che copia male Céline (di cui peraltro lo scriba odia lo stile, non le cose che dice, ma lo stile così fottutamente francese che esprime in mille pagine quel che si potrebbe esprimere meglio in dicei) o Joyce (del quale il capolavoro lo scriba ha sempre pensato fosse una deiezione culturale che fa solo così fico studiare da giovane ma che non serva a un cazzo per la propria inutile cultura) o alcuno altro post-moderno del cazzo (cfr. Pacino in Heat).
no cazzo, no, non serve a un cazzo.
eppure lo facciamo, tutti, senza eccezione.
dio non c'é.
ϑ nera
Libro della Sapienza e delle Aragoste
sabato 11 gennaio 2014
giovedì 24 maggio 2012
ma che senso ha?
A differenza dei suoi amici che di lì a poco lo avrebbero raggiunto al solito barre, JimmyJimmyJimmy Perché non credeva in se stesso. Solito a chiedersi il perché di ogni cosa quasi da esser costretto a dar fede lui in primis al suo nome, JJJP dubitava e si interrogava, si interrogava e dubitava: perché, perché, perché... e la filosofia, e l'antropologia, e l'economia, la semiotica. Voleva conoscere, sapere, non per comandare o controllare, voleva solo capire. Perché le persone agiscono così come accade, perché vi è il male, perché la felicità, che li pareva essere così facile da raggiungere era una via così impestata, dura, alle volte inutile da percorrere. Perché alcune persone, le solite, le più grezze, i buzzurri, i poco meritevoli, avevano tutto l'amore del mondo? Quale demiurgo, quale istanza, quale imperativo filogenetico ci impedisce di vivere appieno le nostre vite? I pensieri di JJJP erano questi e, tuttavia, anche altri più, se si vuole proprio, banali, ad esempio quello che or ora gli balenava in mente: “perchè voglio il marocchino e non un bicerìn? Perché al centro-sud non lo chiamano marocchino?”
Di tutt'altra pasta era fatto Qubo Jones, il primo dei suoi amici a arrivare. Mentre, ed erano parole sue, JJJP perdeva tempo nelle sue fantasie (“e non combina mai un cazzo”, esclamava spesso con particolare enfasi fallicocentrica) lui, QJ, aveva in mente “piani ben precisi, zio fà”: una ragazza in qualche modo l'aveva raccattata, alla laurea necessaria ci stava arrivando nonostante anni spesi a fare il cameriere in locali dove albergavano mala educazione e impudicizia morale (di quelli che il padrone mette l'orologio avanti di 5 minuti per toglierti un paio di € dallo stipendio, ovviamente in nero), l'amico ex camerata (perché erano gli unici a difendere i sommi ideali della razza e dell'onore in un luogo pieni di comunistelli per moda, ahimè, si permettono ora di dileggiare sui blog, loro unici veri portatori del vero e della bellezza in mezzo alle risa di scherno di persone che avevano deciso, al contrario dei due priapi dal culo stretto, di non essere proprio così bellamente ignoranti) di scuola ora consigliere in comune che c'ha gli agganci, e già garantisce, non fantastica, garantisce un futuro pieno di appalti fantasiosi e puttane di qualsiasi bordo per farsi suggere il sempre ben retto membro a onore compartecipe e commendatore della loro virilità così spesso messa in dubbio dalla parte avversa, ovvero quel comunismo da solo più loro visto e con cui, forse, reificavano la loro paranoide insicurezza. O forse sono solo delle teste di cazzo, questo non ci è dato saperlo, al più intuirlo.
Paul SenzaSenso arrivava al culo di QJ sghignazzando contro la sua camminata da ossessivo, bello ritto e rigido, culo stretto, gambe storte e piedi quasi piatti. PSS pigliava allegramente per il culo tutto lo scibile umano e anche oltre. Anche se stesso. Dietro il suo sarcasmo, il suo non-sense, la sua acidità, non nascondeva nulla, che era quello che lui stesso si sentiva dentro.
Johnny Sfiga era l'utimo a arrivare, sempre. Era depresso ultimamente, JS, intendendo con ultimamente circa dalla fine della terza superiore-inizio della quarta, locus amenus della sua memoria dove passava ore e ore a discutere coi suoi altri amici-sfiga dell'ultimo album dei Weezer mentre le sue compagne, tra le quali molte avevano il suo auto-altolocato giudizio estetico positivo, darla, prenderlo e succhiarlo da tanti, in certi casi troppi, senza che mai lui fosse parte di quel meraviglioso, ai suoi inesperti occhi, sabbath in un bagno di sudore e quant'altro. “No”, amava ripetersi, “no, io non sono capace di far accadere un'esplosione di figa solo con le mie mani o con questo insulso corpo. Vorrei che il mio fervido mondo interiore potesse essere colto da chicchessia, ma come il Werther la mia è una battaglia stile Davide contro Golia solo che nel mio caso Golia ha l'activ pus. Vorrei anch'io ascendere alle tette sugose delle mie esplodenti delle mie compagne, ma la moralità, il super-io, tutto il mondo mi cospira contro. Meglio le cuffie nelle orecchie e il mio fido Nietzsche che mai m'abbandonerà, meglio stare a guardare senza proferire emotività, così tutto passerà”. Eh si, JS era forse un po' patetico, ma era uno su cui potevi contare. Alle volte puzzava un po', ma era un amico leale.
Sogni, speranze, crudeltà, amori, puzze, conoscenze. Tutto spazzato via da quel camion cisterna carico di benzina che è andato infilarsi nel bar, esplodendo. Pare che al camionista fosse venuto un infarto.
Quanta vita sprecata. Intendo quella di tutti noi, non solo dei ragazzi di cui sopra tanto bene si è detto.
Che pena, la vita, ah, a me l'assenzio, garzon...
Sono morte anche altre 39 persone, by the way, oh, ma credo che a nessuno importi, anzi ne sono certo.
lunedì 5 marzo 2012
Law & Order (Heaven)
Tribunale
superiore del Paradiso, Utah.. A.D. ∞/∞/∞
"Silenzio
in Aula! Entra la corte!" Scortati dall'arcangelo Michele e da
San Giorgio entrano i tre Giudici, Shlomo d'Israele, Minosse di Creta
e James Funky-President Brown. Sedutosi nel suo scranno, il giudice
Shlomo invita il pubblico presente in sala a sedersi. "Iniziamo
pure". Prende la parola Minosse "Siamo qui riuniti per
giudicare il comportamento sulla terra dell'imputato Arnaud Amaury.
Accusato di furto e vandalismo ai danni del sig. Raimondo di Tolosa e
di Genocidio, furto e vandalismo ai danni della popolazione di
Besièrs, Carcassona e Tolosa, per i fatti accaduti tra il 21 luglio
1209 e il 12 aprile 1229." Alla domanda su come si dichiari
l'imputato, se innocente o colpevole, l'avvocato difensore, Marco
Tullio Cicerone, si alza e chiede l'annullamento del processo per
essere caduto in prescrizione "Inoltre vorrei far notare che i
fatti che si vogliono giudicare sono accaduti in Francia, stato
sovrano e indipendente e non in Paradiso. C'è quindi un grave caso
di sovranità nazionale violata e non riconosciuta. Spero che i
signori giudici non si vogliano macchiare di questo grave errore
diplomatico". Alle parole pronunciate della difesa, dai banchi
partono boati e fischi, un serafino oltremodo infuriato tenta di
raggiungere l'avvocato latino e di strangolarlo, fortunatamente
l'arcangelo Michele lo blocca in tempo e lo scorta fuori dall'aula,
mentre l'accaldato serafino -che poi si scoprirà un membro di
organizzazioni per i diritti dell'uomo ben conosciuto dalla DIGOS
locale- urla improperi in aramaico stretto verso l'imputato e la sua
famiglia. Assicuratosi che la situazione sia tornata alla normalità,
il giudice Shlomo prende la parola e si rivolge all'avvocato
Cicerone "Forse non se n'è accorto ma la giurisdizione sui
morti è sola prerogativa del Paradiso, non della Francia. Pertanto
la sua richiesta è negata" dal pubblico scoppia un fragoroso
applauso. In molti esultano e fanno il gesto dell'ombrello in
direzione del nobile latino. "Please, please, please!" si
mette a urlare il giudice Brown. Il pubblico capisce il richiamo al
silenzio, si calma e si risiede composto. "Grazie, siete
fantastici!". Riprende la parola il giudice Minosse. "Allora,
l'imputato Arnaud Amaury come si dichiara? Colpevole o innocente?"
È l'accusato in persona a parlare, si è infatti alzato e con tono
sicuro dice "innocente vostro onore!". Mugugni dal
pubblico, piuttosto contenuti. "Bene" dice soddisfatto
Minosse, "Si proceda all'elencazione degli atti d'accusa".
Il pubblico ministero, Lucio Sergio Catilina, inizia ad elencarle
"l'imputato qui presente, Arnaud Amaury, Abate di Citeaux,
superiore dell'ordine cistercense dal 1200 alla sua morte, è accusato: Di formazione di banda armata, con la quale si è
reso responsabile dell'omicidio di 20'000 persone nella cittadina di
Besièrs, Linguadoca-Rossiglione. Di furto di vestiti e altri beni
terreni nei confronti dei cittadini di Carcassona,
Linguadoca-Rossiglione. Di tortura -tramite asportazione dei bulbi
oculari- e omicidio -tramite rogo- nei confronti di migliaia di
persone di fede catara. Di furto e di vandalismo nei confronti del
contado del Tolosano provocando ingentissimi danni economici alla
popolazione locale. È anche accusato di aver tentato di usurpare e
rubare i titoli e i possessi del conte Raimondo di Tolosa a favore
del sig Simone di Monforte e del sig. Filippo Augusto, al momento
entrambi latitanti... per questi crimini la Pubblica accusa richiede
l'ergastolo fino al giorno del Giudizio". "La difesa ha
qualcosa da dire?" chiede il giudice Shlomo rivolgendosi a
Cicerone "Solo che questo è un processo politico!". A
queste parole il pubblico inizia a lanciare dei ceci verso la difesa.
Alla domanda dei giudici perché avessero portato dei ceci in aula
dal pubblico arriva la risposta che sono stati distribuiti dal
pubblico ministero all'entrata del tribunale. "Non c'è nessuna
legge che lo vieta" si difende Catilina.
Entra il primo testimone. Innocenzo III, professione Papa. Inizia a
interrogarlo il pubblico ministero "Lei era papa durante la
cosiddetta crociata albigese?" "Sì, ma vorrei far notare
che ero contrario all'uso della forza! e.. comunque sono morto prima
che finisse!" Interviene il giudice Minosse "Sì
tranquillizzi, non siamo qui per giudicare il suo papato...ora
risponda", "Sì ero io il Papa in quel periodo" "E
si ricorda come conobbe il sig Amaury?" "Era Superiore
dell'Ordine dei Cistercensi, lo conosco per questo motivo. In quegli
anni in Occitania c'era questo problema con gli Albigesi o Catari..
credevano nell'esistenza di un dio buono e di un dio cattivo, non
proprio quello che si crede noi.." "E io chi sono eh?!"
urla dal pubblico Satana. "Per piacere, Satana. Non siamo qui
neanche per discutere della tua natura" lo rimprovera Minosse.
Innocenzo III continua "In ogni caso erano un problema, sà,
minavano l'unità della cristianità e altre cose cui all'epoca ci
tenevamo molto. Diedi ordine allora a Arnaud Amaury di mandare la sua
congregazione in missione per cercare di riportare i catari in seno a
Santa Madre Chiesa. Mi pare che in un primo momento mandai Pietro di
Castelnuovo, ma non ebbe molti risultati.." "E fu in quel
momento che decise di uccidere tutti gli eretici?" gli chiede
Catilina "No! Assolutamente no! Era forse il 1204, non ricordo
bene.. sembra essere passata un eternità da quegli anni.. in ogni
caso mandai anche un tal Domenico di Guzman, brava persona, umile..
lui si impegnò molto con i catari. Ebbe anche alcuni risultati...
ma.." "Ma?" lo rimbecca "Ma ormai la situazione
si era impasticciata troppo: Raimondo di Tolosa si rifiutava di
cacciare via gli eretici. Amaury venne da me e mi consigliò di chiedere ai signori di quei luoghi di formare una lega santa contro i Catari.
Pure Raimondo accettò, ma fece mai nulla contro gli Albigesi, anzi
nella sua città venivano trattati con gentilezza. A un certo punto
la situazione peggiorò: qualcuno uccise Pietro di Castelnuovo.
L'Amaury venne da me e mi disse che era stato Raimondo. Che potevo
fare io? Ero a Roma, ignaro di come stessero andando le cose. Decisi
allora di scomunicarlo se non avesse ottemperato alla mia richiesta
di cacciare gli Albigesi.", "Lo scomunicò perché si
comportò in modo pio?" Innocenzo III alla domanda diventa rosso
in faccia, fissa gli occhi verso il pavimento e dice sussurrando
"Sì". Bisbigli di disapprovazione dalla platea. Catilina
continua "E poi che accadde?" "Niente. Scomunicato
Raimondo mando una lettera a tutti i francesi del nord e gli chiedo
di andare a combattere per il cristianesimo e debellare l'eresia.
Raimondo cercò di discolparsi ma intanto erano subentrati anche
altri interessi.." "Quali?" "La contea di Tolosa
era ricca all'epoca". "Capisco... Ho finito con questo
testimone" chiosa il pubblico ministero. Il giudice Shlomo
allora rivolgendosi a Cicerone dice "Ha qualche domanda per
Innocenzo III?". "Solo un considerazione: vorrei ricordare
che la crociata fu indetta da Innocenzo III, non di certo dal mio
assistito. E chi non credette all'Innocenza di Raimondo fu sempre il
Papa. Se il qui presente Arnaud ha una colpa è l'eccesso di zelo!".
Innocenzo III si alza e al suo posto entra il testimone successivo,
Cesario di Heisterbach. "Lei fu cronachista dell'ordine
cistercense in quel periodo vero?" "Sì" "E seguì
Arnaud nella sua crociata?" "Sì" "Chi era a capo
dell'esercito d'invasione?" "Io lo chiamerei più esercito
crociato.. comunque dopo il rifiuto del Re di Francia l'esercito fu
guidato da Arnaud in persona e da Simone di Monforte, scelto dal
Concilio Lateranense come nuovo conte" "Si ricorda le
esatte parole che l'Amaury disse appena conquistata la città di
Besièrs? Città che vorrei ricordare si era arresa.." "Sì,
me le ricordo abbastanza bene. Disse Uccideteli tutti! Dio
riconoscerà i suoi" il pubblico disgustato cerca di
raggiungere l'accusato ma viene nuovamente riportato alla calma da un
balletto del giudice Brown. Cicerone allora si alza e urla "Questa
è una diffamazione! Signor Cesario: non è forse lei quello che
affermò l'esistenza di Titivillus, il demone che fa sbagliare i
copisti?! Signori giudici come si può credere a uno squilibrato del
genere?". Risate dal pubblico. I tre giudici borbottano tra di
loro e decidono per l'inaffidabilità del teste che viene prontamente
portato in un sanatorio. "In ogni caso ci sono numerose
testimonianze sulla frase dell'Amaury" ribatte il pubblico
ministero e porta al giudice un plico di documenti di testimonianza.
Mentre i giudici leggono gli incartamenti dati loro dal PM, dal
pubblico si alza un contadino, che chiede con veemenza di poter
parlare "Qui state parlando di chi ha fatto cosa a chi ma il
problema vero è che io aspetto da più di ottocento anni che mi si
venga ripagato i danni che quei scalzacani di crociati hanno fatto
alle mie vigne! Ottocento! È una vergogna che si debba aspettare
così tanto per avere un po' di giustizia!" Il pubblico applaude
l'intervento del contadino che si risiede scuotendo la testa e
sputando per terra. Infastidito Minosse chiede all'accusatore "Ha
altri testimoni?" "No vostro onore." "Allora ci
ritiriamo per deliberare.".
Dopo tre ore
i giudici ritornano in aula dove nel frattempo il contadino che aveva
preso la parola prima sta trattando con dei satiri la vendita di
alcuni miriagrammi di vino. Il giudice Shlomo inizia a parlare
"Sentiti i testimoni e compresi bene i fatti dichiariamo
l'imputato Arnaud Amaury, colpevole di tutti i reati, e quindi viene
condannato a scontare il resto dell'eternità nell'Inferno, nella
dannazione eterna per le colpe che ha commesso durante la sua vita terrena". Il Pubblico esulta mentre Cicerone
rassicurando l'imputato gli dice "Non preoccuparti, faremo
ricorso!". Ma la porta dell'aula del tribuna si apre di colpo. È
il figlio di Dio in persona, Gesù. "Ecco dov'eravate finiti
tutti! Vi ho cercato ovunque! Cosa state facendo?" Shlomo
imbarazzato "Davvero ci stavi cercando?! Cavolo! Pensavo lo
sapessi! Oggi c'era il processo Amaury contro la Giustizia Divina.."
"Ah, sì! Me lo ricordo! Brutta storia davvero... chi è questo
Amaury comunque?" il giudice Minosse indica con la mano
l'imputato "Sei tu quello che ha fatto tutti quei casini? Amico,
non dovevi, lo sai? Mi rattrista molto quello che hai fatto.." e
poi rivolgendosi a Minosse "Quanto gli avete dato?"
"L'eternità, era il minimo." "L'eternità? Ma siete
matti? Sapete quanto dura l'eternità?! Vediamo.. Alla fine io qui
sono pur sempre il presidente junior, giusto?" tutti annuiscono
mestamente con la testa. "E allora, Arnaud Amaury, io ti
perdono! Questo processo -e questo racconto- sono finiti!".
La vittoria di Qubo Jones
Era un giorno un po' come questo, o quello, sebbene non mi ricordi che mese o anno fosse. So solo che eravamo al liceo, ed era uno di quei giorni uggiosi dove senti che il 3 in matematica è dietro l'angolo e, anche se capita di scamparlo, sai che esso è comunque sempre lì pronto ad agguantarti. Magari la prossima volta, chissà.
Era, credo, una delle due ore settimanali di impartimento della religione. Sono sicuro che non fosse una di quelle interessanti lezioni in cui il prete ci introduceva al pensiero teologico novecentesco, no, sarebbe stata troppa grazia aver a che fare con Barth e Bonhoeffer, ma era invece una di quelle sterili, ridicole, accessorie, dispute nelle quali quell'allora ancora alquanto giovine curato già di campagna tentava, ovviamente esponendosi a un ridicolo spesso facilmente raggiunto, di inculcarci che ogni filosofo e ogni teoria filosofica in realtà si basavano su, o erano dirette verso, dio. Le pernacchie, com'era giusto, si sprecavano davvero neanche fosse un concerto.
Ci fu un momento, fra i tanti, di noja, di quelli tesi nei quali sembra quasi che ci si guardi tutti negli occhi e ci si voglia dire: "smettiamo queste tristi maschere che opprimono i nostri esseri. Spogliamoci, prendiamo chitarre e vino, andiamo in un prato e gozzovigliamo, finalmente liberi, ubriacandoci di eros".
Fortuna volle che non andò così. Sarebbe stato certo un impiccio dover rinunciare e, soprattutto, doverlo attivamente evitare: si sa, infati, che a quell'età gli adolescenti sono satiri ribollenti e un prete, per forza di convenzioni, sarebbe forse peggio e io non volevo complicazioni
L'unico che quel momento ben sfruttò, o cui così ben fruttò, non si può dire, fu il mio compare Qubo Jones. Egli era allora il migliore dei comari, biriciccoloso e zuzzurellone al punto giusto, ma fino, fino al midollo.
Fu costui, come dicevo, che d'impeto si girò verso di me e con un balzo che non poteva fare null'altro che scuotere, come portasse nuova linfa, il fortunato cui era rivolto, a pugno chiuso disse, ma che dico, intimò: "ho vinto!".
Ammetto che sul momento non mi resi appieno conto del significato recondito delle parole proferite da Qubo. Stolto com'ero, pensavo che non avesse motivo di proclamar vittoria, visto che non si era impegnati in nessuna sfida, nemmeno per passatempo. Dovettero passare mesi, anni forse, prima che quel suo sorriso sicuro e celatamente compiaciuto finalmente trovassero nella mia anima il loro compimento. Solo ora posso dire ciò che con quel gesto il mio compare proclamò con tale veemenza al mondo, a un mondo che in verità non si è ancora oggi capacitato di tanta magnifica tracotanza.
Qubo quel giorno, dichiarando la sua vittoria, riuscì a vincere sul mondo, sulla morte, su se stesso, su di noi, su Tutto. Su tutto... Qubo Jones quel giorno sorpassò, "a destra" come gli piacerebbe dire, la volontà di potenza - divenne lui Potenza! Oltrepassò la filosofia del martello - divenne lui Martello! Fu Rivoluzione! Turbamento! Azione! Pornografia!
Quel giorno l'eterno ritorno cessò. Una nuova fase ebbe inizio, un epoca nella quale l'uomo non fu più lo stesso, nella quale possa avere appieno coraggio e spirito, dove potrà correre felice nei campi elisi che da allora egli scorge davanti a sè finalmente scevro dall'inesistente concetto del peccato, grazie alla vittoria di Qubo Jones.
Grazie per aver vinto Qubo, grazie di quore.
Era, credo, una delle due ore settimanali di impartimento della religione. Sono sicuro che non fosse una di quelle interessanti lezioni in cui il prete ci introduceva al pensiero teologico novecentesco, no, sarebbe stata troppa grazia aver a che fare con Barth e Bonhoeffer, ma era invece una di quelle sterili, ridicole, accessorie, dispute nelle quali quell'allora ancora alquanto giovine curato già di campagna tentava, ovviamente esponendosi a un ridicolo spesso facilmente raggiunto, di inculcarci che ogni filosofo e ogni teoria filosofica in realtà si basavano su, o erano dirette verso, dio. Le pernacchie, com'era giusto, si sprecavano davvero neanche fosse un concerto.
Ci fu un momento, fra i tanti, di noja, di quelli tesi nei quali sembra quasi che ci si guardi tutti negli occhi e ci si voglia dire: "smettiamo queste tristi maschere che opprimono i nostri esseri. Spogliamoci, prendiamo chitarre e vino, andiamo in un prato e gozzovigliamo, finalmente liberi, ubriacandoci di eros".
Fortuna volle che non andò così. Sarebbe stato certo un impiccio dover rinunciare e, soprattutto, doverlo attivamente evitare: si sa, infati, che a quell'età gli adolescenti sono satiri ribollenti e un prete, per forza di convenzioni, sarebbe forse peggio e io non volevo complicazioni
L'unico che quel momento ben sfruttò, o cui così ben fruttò, non si può dire, fu il mio compare Qubo Jones. Egli era allora il migliore dei comari, biriciccoloso e zuzzurellone al punto giusto, ma fino, fino al midollo.
Fu costui, come dicevo, che d'impeto si girò verso di me e con un balzo che non poteva fare null'altro che scuotere, come portasse nuova linfa, il fortunato cui era rivolto, a pugno chiuso disse, ma che dico, intimò: "ho vinto!".
Ammetto che sul momento non mi resi appieno conto del significato recondito delle parole proferite da Qubo. Stolto com'ero, pensavo che non avesse motivo di proclamar vittoria, visto che non si era impegnati in nessuna sfida, nemmeno per passatempo. Dovettero passare mesi, anni forse, prima che quel suo sorriso sicuro e celatamente compiaciuto finalmente trovassero nella mia anima il loro compimento. Solo ora posso dire ciò che con quel gesto il mio compare proclamò con tale veemenza al mondo, a un mondo che in verità non si è ancora oggi capacitato di tanta magnifica tracotanza.
Qubo quel giorno, dichiarando la sua vittoria, riuscì a vincere sul mondo, sulla morte, su se stesso, su di noi, su Tutto. Su tutto... Qubo Jones quel giorno sorpassò, "a destra" come gli piacerebbe dire, la volontà di potenza - divenne lui Potenza! Oltrepassò la filosofia del martello - divenne lui Martello! Fu Rivoluzione! Turbamento! Azione! Pornografia!
Quel giorno l'eterno ritorno cessò. Una nuova fase ebbe inizio, un epoca nella quale l'uomo non fu più lo stesso, nella quale possa avere appieno coraggio e spirito, dove potrà correre felice nei campi elisi che da allora egli scorge davanti a sè finalmente scevro dall'inesistente concetto del peccato, grazie alla vittoria di Qubo Jones.
Grazie per aver vinto Qubo, grazie di quore.
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